Valentina Stella aveva 22 anni, la testa piena di sogni e la paura di chi sta per iniziare qualcosa di diverso.
È arrivata a Lisbona per fare l’Eramus e un po’ come tutti noi, non è mai andata via.
Non sto parlando di presenza fisica é che Lisbona ti resta dentro, anche se sono passati quasi vent’anni e tu vivi a Lussemburgo, hai due bimbe, una vita nuova.
Non so bene come ma quando le cose devono accadere accadono e quindi grazie a Instagram, a Chiara e a qualche stella da lassù io e Valentina ci siamo conosciute (nel senso digitale della parola, ma non vedo l’ora di poterlo fare dal vivo) e abbiamo scoperto di avere tante cose in comune come l’amore per la scrittura, Lisbona, New York, i libri.
È nata una storia scritta da Valentina che ci racconta la Lisbona letteraria, un volo sulla città con un itinerario alternativo, che potrebbe essere oggetto del vostro prossimo viaggio.
C’è Pessoa, insieme al suo Soares, ci sono Tabucchi e Pereira, vecchi amici, c’è la saudade che tutti conosciamo, forse, chi lo sa.
Poesie, frammenti letterari, attimi che ricorderete per sempre.
Vi avviso, secondo me alla fine scenderà anche qualche lacrima.
Siete pronti a viaggiare?
Contents
Itinerario letterario di Lisbona
Immaginiamo di volare. Perché leggere è volare, no?
Immaginiamo di volare su Lisbona, arrivando dal mare.
Per il viaggiatore che vi giunge dal mare, Lisbona sorge come una bella visione da sogno, stagliata contro un cielo azzurro splendente che il sole allieta con il suo oro.
(Fernando Pessoa)
A Lisbona tutto parte da Fernando Pessoa. Tutto parte da questo poeta riservato, misterioso, difficile, considerato uno degli autori più importanti della cultura europea di tutti i tempi.
E quindi anche noi partiamo da lui, dal luogo in cui è nato: siamo nel Chiado, in Largo de São Carlos, una delle piazze più belle e nascoste della città.
Qui, in un palazzo elegante davanti al teatro, nacque Fernando, in una data che è una straordinaria coincidenza: 13 giugno, giorno della più grande festa di Lisbona, la festa di Sant’Antonio, giorno delle sardinhas assadas, del vinho tinto e del fado nelle strade.
Il giorno in cui Lisbona si sente ancora più Lisbona.
Lasciamo Largo de São Carlos e andiamo verso la via che è ritenuta il salotto di Lisbona, Rua Garrett, e infatti, come in un vero salotto, troviamo lui, Fernando Pessoa, seduto per sempre a uno dei tavolini del suo bar preferito, A Brasileira.
E come in ogni salotto, anche qui c’è una libreria, o meglio, la libreria più antica del mondo: la Bertrand, fondata nel 1732.
Pessoa però non ha vissuto una sola vita: è stato Alvaro de Campos, Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Bernardo Soares e tante altre persone.
Facciamoci prendere per mano da Soares e scendiamo verso la Baixa: qui è ambientato il libro più famoso di Pessoa/Soares, Il libro dell’inquietudine.
Qui, in queste vie, ha lavorato, scritto, e si è innamorato. Ha amato per anni Ofélia Queiroz, l’ha amata di un amore grande e puro, senza riuscire mai a dedicarsi del tutto a lei: scrivere rimase sempre la sua unica insostituibile e struggente passione.
Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
Magari fosse il tempo. Questo tempo che fugge via lontano come le navi dei marinai che scompaiono verso l’orizzonte.
Questo tempo che passa troppo in fretta e racconta la saudade, parola intraducibile che vuol dire nostalgia, malinconia, ma anche felicità per aver vissuto qualcosa.
Vuol dire quel momento in cui guardi un tramonto – uno dei meravigliosi tramonti di Lisbona – e il cielo sta per diventare scuro, ma sai che tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello da non poterlo essere più
(F. Pessoa).
Tabucchi e la Saudade
E così era la saudade per Antonio Tabucchi, autore italiano che ha vissuto e amato così tanto il Portogallo da voler essere seppellito nel cimitero di Lisbona fra gli scrittori portoghesi:
Un grande linguista ha detto che è impossibile spiegare il senso della parola formaggio a una persona che non ha mai assaggiato un formaggio.
Per capire cos’è la saudade, dunque, niente di meglio che provarla direttamente.
Il momento migliore è ovviamente il tramonto, che è l’ora canonica della saudade, ma si prestano bene anche certe sere di nebbia atlantica, quando sulla città scende un velo e si accendono i lampioni.
Lì, da soli, guardando questo panorama davanti a voi, forse vi prenderà una sorta di struggimento. La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita in cui eravate in una bellissima e solitaria viuzza di Lisbona a guardare un panorama struggente.
Ecco, il gioco è fatto: state avendo nostalgia del momento che state vivendo in questo momento. È una nostalgia al futuro.
Avete sperimentato di persona la saudade.
Facciamoci accompagnare quindi da Tabucchi in Rua da Saudade, nell’Alfama, dove abita Pereira, anziano e appesantito giornalista protagonista del romanzo-capolavoro che ha proprio nello scorrere del tempo il suo centro: Sostiene Pereira.
Sostiene Pereira di averlo conosciuto un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. (…) Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte.
Perché quella splendida giornata di Lisbona a Pereira ricorda la morte?
Risaliamo le vie dell’Alfama, dirigiamoci verso la Mouraria mentre Tabucchi ci racconta perché questa città puzza di morte, tutta l’Europa puzza di morte.
Sostiene Pereira racconta il tempo delle dittature, di Salazar in Portogallo e di Franco in Spagna, il tempo della polizia nelle strade e del terrore di parlare, di pensare, di immaginare un mondo diverso.
Pereira ha paura, è un uomo pavido, lo capiamo fin dall’inizio. Ma poi arriva Monteiro Rossi, un ragazzo che gli chiede un piccolo favore, e poi un altro e un altro ancora, e poi arriva anche Marta, e Pereira si lascia trascinare.
Dopo tanto tempo l’universo è in movimento.
Dottor Pereira, mi piacerebbe ballare questo valzer con lei.Pereira si alzò, sostiene, le tese il braccio e la condusse fino alla pista da ballo. E ballò quel valzer quasi con trasporto, come se la sua pancia e tutta la sua carne fossero sparite per incanto. E intanto guardava il cielo sopra le lampadine colorate di Praça da Alegria, e si sentì minuscolo, confuso con l’universo.
C’è un uomo grasso e attempato che balla con una giovane ragazza in una piazzetta qualsiasi dell’universo, pensò, e intanto gli astri girano, l’universo è in movimento, e forse qualcuno ci guarda da un osservatorio infinito.
L’universo comincia a girare in quella piazza e nella vita di Pereira, il suo cuore anziano ritrova il coraggio e ricomincia a battere forte, fino alle ultime pagine, che sono uno dei finali più belli della storia della letteratura.
Saramago e Ricardo Reis
Proseguiamo fra le strade della Mouraria, osserviamo i volti delle fadiste e dei fadisti che nella storia si sono alternati nei minuscoli locali della zona, cantando la saudade, cantando l’amore che non tornerà, e cantando Lisbona, Lisbona ragazza e donna amata, città della mia vita.
Ora fermiamoci in Praça da Figueira, la piazza dell’antico mercato coperto, oggi rinata, luminosa, vivace.
Tutti i personaggi inventati da Pessoa hanno un luogo e una data di morte tranne uno: Ricardo Reis.
Ricardo Reis non è mai morto, e quindi ci ha pensato l’altro immenso autore portoghese, premio Nobel nel 1998, a raccontare ciò che è stato di lui: José Saramago.
Ne L’anno della morte di Ricardo Reis il protagonista se ne va, urbanamente ha augurato la buonasera, e ringraziando è uscito dalla porta de Rua dos Correeiros questa che dà sulla grande babilonia di ferro e vetro che è Praça da Figueira, ancora agitata, ma niente che si possa paragonare alle ore del mattino, rumorose di grida e strilloni fino al parossismo.
Si respira un’atmosfera composta di mille odori intensi, di cavolo ammaccato e appassito, di escrementi di coniglio, di penne di gallina bruciacchiate, di sangue, di pelle scuoiata.
Belém e il Tramonto
Per concludere la nostra giornata potremmo volare verso Belém.
Potremmo prendere un pastel de Belem e andare a sederci sul prato vicino al Padrão dos Descobrimentos e osservare quegli uomini di cui abbiamo studiato i nomi a scuola: sono lì, scolpiti nella pietra, e guardano verso l’oceano e verso le terre che hanno scoperto e dominato.
Ma non facciamolo prima di aver letto qualche pagina di António Lobo Antunes, geniale e vulcanico autore che nella vita è stato uno psichiatra, e si è arruolato come tenente medico nelle colonie dal 1971 al 1973, proprio durante le sanguinose guerre coloniali.
Lobo Antunes ha visto con i suoi occhi lo sfruttamento e l’oppressione, ha curato braccia e gambe ferite dalle mine, e con il suo modo di scrivere potente e visionario ha testimoniato negli anni successivi l’orrore del colonialismo e della guerra, le menzogne che le scoperte avevano raccontato al mondo, l’insensatezza del non voler lasciare i popoli liberi di autodeterminarsi.
«Io avevo paura e mi tenevo al riparo, protetto dal nome della mia famiglia aristocratica. Paura della polizia politica, della tortura, dei campi di concentramento. Ho dovuto andare in guerra per guadagnarmi il rispetto di me stesso. Sono arrivato in Africa e mi sono offerto per cose che non voglio dire…La guerra è orribile, bestiale.»
Un suo romanzo da leggere assolutamente, anche se doloroso e difficile: In culo al mondo.
Andiamo quindi a Belém, e restiamocene lì, seduti sul prato, a guardare verso l’orizzonte, verso quell’oceano che è e deve essere simbolo di libertà e di bellezza, e aspettiamo che il sole rotoli sull’acqua e faccia diventare il cielo arancione e poi rosa e poi viola e poi blu.
Beviamo una birra ghiacciata e respiriamo la saudade: non c’è tramonto così bello da non poterlo essere più.
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