Per scrivere del Cammino di Santiago serve tempo.
Non si è mai pronti ad iniziare, questo è vero, ma una volta tornati raccontarlo è ancora più difficile.
Ci sono state diverse occasioni in questi mesi dove mi è stato chiesto di parlarne, che esperienza fantastica dovevo aver fatto, quanto fosse difficile e tutte le altre domande del caso.
Una domanda in particolare però, mi ha sempre colpito, perchè le poche volte che mi è stata fatta non sono mai riuscita a rispondere veramente.
Come ti senti quando decidi di partire per il cammino? E come ti senti mentre lo fai? Ma sopratutto come ci si sente a tornare e sapere di essere una persona diversa? Perchè lo si è davvero.
Vorrei dire che sono tutte frasi di circostanza, che io sono sempre la stessa, che dopo quei 200 e passa kilometri non è cambiato niente: invece è cambiato tutto.
Non sto dicendo di essere una persona migliore, questo non lo so. Non sto neanche dicendo di aver capito che la vita è una e bisogna viverla al massimo, questi insegnamenti di vita li lascio a chi di dovere.
Sono sempre la stessa persona ma non quella di prima.
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Cammino di Santiago: la sera prima della partenza
Il mio cammino di Santiago è iniziato da Porto.
Sono arrivata a Porto quasi alle sette di sera dopo tre ore ininterrotte di autobus dove non avevo fatto altro che pensare che volendo sarei potuta tornare indietro. Infondo Porto non è così lontana da Lisbona. Ricordo anche di aver pensatodi trovare un hotel dove rifugiarmi in quei giorni e dire a tutti di essere sul cammino..a ripensarci, che scemenza.
Per cosa poi? Non so bene se avessi più paura di non farcela o di farcela.
Comunque dicevo sono arrivata a Porto alle sette di sera, ad una stazione degli autobus che non conoscevo, un pò affamata ma anche spaventata, non per il giorno dopo ma per i minuti a seguire: dovevo andare in ostello.
Avevo già dormito negli ostelli, la prima volta nel 2010 durante l’Interrail con le mie amiche, tra Monaco, Berlino, Amsterdam, la Costa Azzurra, solo che in quei casi non avevo mai superato la mia comfort zone. C’era sempre qualcuno con me, un’amica nel letto sopra il mio, una stanza tutta per noi, la loro presenza intorno alla mia. A Porto, ero da sola, per la prima volta nella mia vita.
E me la stavo facendo sotto.
Sono arrivata in questo ostello, prenotato la sera prima su internet, con la speranza che qualcuno mi guardasse da lassù e mi dicesse che avevo una stanza tutta per me, perchè la grazia divina aveva voluto così. E mentre camminavo pensando a come fare nel caso di eventuali compagni di stanza mi sono ritrovata all’ingresso.
Una porta piccola e scorrevole, due ragazzi sorridenti lungo il bancone (come si dice per gli ostelli? la Hall?) e una musica rimbombante dal piano di sopra.
“Ehi, benvenuta, c’è una festa su, se ti va di andare.”
“Ma chi io? Ma io non voglio stare in camera con degli sconosciuti e secondo te vado ad una festa dove non conosco nessuno?”
Vorrei dire di averlo detto ma mi sono limitata a sorridere e a fare il check in. Non ricordo il numero della stanza ma si trovava all’ultimo piano dell’edificio di fronte a dove mi trovavo io.
Forza e coraggio, si va.
Ho pensato di scappare anche in quel tragitto ma avevo troppo sonno, mal di testa, fame, tutte e tre le cose. Entro nella sala principale e mi ritrovo in una stanza lunga e stretta con una cucina, un mega tavolone, un mini divano e due ascensori. Non c’era nessuno, ricordo benissimo il rumore del frigorifero e le luci gialle che illuminavano tutto.
Salgo in ascensore diretta all’ultimo piano. Quando si apre la porta mi ritrovo in un mini corridoio e una sola porta davanti a me: la mia stanza, mia e di altre tre persone.
L’ho già detto forza e coraggio?
Passo la tesserina magnetica, apro la porta e cerco disperatamente le luci della stanza. Al click dell’interruttore sento dei rumori e una ragazza che si muove dal suo letto: non ricordo il suo nome, credo di averlo dimenticato due secondi dopo essermi presentata ma ho la sua faccia (un pò assonnata) stampata in testa. Mi saluta, mi dice che stava dormendo perchè era in tornata dal Brasile da qualche ora ma che potevo tranquillamente sistemare le mie cose.
Era buffa, dei capelli a caschetto che avrei voluto anche io in quel momento, gli occhiali ed un accento che non riuscivo a riconoscere. Ero super imbarazzata, l’avevo svegliata ed ero piombata in camera iniziando a tirare fuori cose dallo zaino (si, avrò fatto e disfatto quello zaino 7 volte).
Chiacchieriamo un pò, mi dice che vive a Porto ma che era stata mesi e mesi in Brasile. Doveva cercare una nuova casa quindi nel frattempo avrebbe vissuto un pò in ostello.
Che coraggio. Io qualche minuto prima solo all’idea volevo scappare.
Le dico che mi sarei svegliata molto presto il giorno dopo, parto per il cammino, sai.
Ah, non ti preoccupare, ho il sonno pesante, Buon Cammino.
Due minuti prima di usare il nostro bagno in comune (si, dovevo specificarlo, una delle cose che ho più temuto durante tutta questa avventura) scopro che è italiana, esattamente come me. E nulla, ho parlato in inglese per mezz’ora, con le gambe che tremavano, in una camera di ostello condiviso con una ragazza che poteva capirmi perfettamente.
Ora rido e penso che tutto questo è davvero meraviglioso.
Credo che il mio cammino sia iniziato la sera prima della partenza. Quando mi sono ritrovata a fare una cosa che mi faceva così tanta paura. Quando ho condiviso la stanza con una sconosciuta.
E ho usato il bagno in comune.
Sono uscita e ho cenato, da sola.
Ho fatto una passeggiata, da sola.
La cosa importante di tutto questo è l’aver superato un blocco, una paura (forse) infondata di non essere capace di fare tutto questo.
La leggerezza nel vedere che anche se volevo scappare, alla fine sono rimasta.
Cammino di Santiago: diario di viaggio della sera prima della partenza.
Ho trovato il diario che ho portato sul cammino, dove mi ero ripromessa di scrivere ogni sera del viaggio. Non è stato così ma alcune cose le ho impresse nel cuore e sulla carta.
Ecco un piccolo estratto della sera prima della partenza, di tutto ciò che ho descritto sopra, di come quelle emozioni sono venute fuori.
24/08/2019
Non so bene da dove cominciare perchè questo è un diario e io ora non so cosa dire. Sono in ostello a Porto e mi sono appena tornati in mente tutti i pensieri di oggi, anzi di questi giorni.
Stamattina mi sono svegliata pensando “chi me lo ha fatto fare” e ora sto andando a letto più o meno con lo stesso pensiero.
Io non lo so se sono pronta a questa cosa, se sto facendo la cosa giusta…ma alla fine se uno non ci prova, come fa a saperlo?
Mi scoppia la testa, forse dovrei smettere di scrivere ma non ci riesco. Sono partita da Lisbona, anzi no partiamo dall’inizio, da quando ho deciso di fare questa cosa.
Due domeniche fa G. mi ha chiesto “ma allora lo fai o no questo cammino?”
E io che fino a quel momento avevo rimandato ancora e ancora ho deciso che si, forse ci sarei andata davvero.
7 kili di zaino, un paio di scarpe e qualche cosa a caso eccomi qui a Porto in quell’ostello che mi faceva così paura. Che cosa mi spaventa davvero? Le persone? E perchè mai? Queste cose mi sembrano superate, ma quel non sentirsi all’altezza bussa sempre alla mia porta.
Mi chiedo, ce la farò per dieci giorni? Perchè se non sono la prima a credere in me stessa, chi lo deve fare? Che poi questo non riguarda solo il cammino. Ha radici molto più profonde.
Come ti senti adesso?
Spaventata.
Emozionata.
Persa.
Però domani vado lo stesso.
Il cammino di Santiago è magico e io vorrei che questa magia arrivasse fino a voi.
[Qui ti racconto di come ho organizzato il cammino]
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